domenica 7 dicembre 2014

FRANCESCO SCHIANCHI: “Ripensiamo l’utopia del Parco Lambro”



INTERVISTA A CURA DI: ANTONELLO CRESTI

Anche l’Italia ha avuto la sua piccola Woodstock: per tre anni, dal 1974 al 1976, presso il Parco Lambro di Milano si tenne un festival, definito “del proletariato giovanile”, che mise in scena, anche in maniera ingenua e contraddittoria, le mille anime dei movimenti extraparlamentari dell’epoca. Ma anche tentò una esperienza comunitaria dalle dimensioni ancora sconosciute al nostro paese e, soprattutto, fotografò in maniera eccellente lo stato creativo della scena musicale dell’epoca, con una serie di esibizioni passate alla storia. Su queste vicende è da poco uscito un volume Libro Lambro (ed. Aereostella, pp. 186, euro 18,00) nel quale si confrontano Francesco Schianchi, tra gli organizzatori del festival e Franz Di Cioccio, membro della PFM e protagonista musicale di quella esperienza, con una prefazione di Moni Ovadia. Il significato dell’operazione, come ci ha detto Schianchi, è “rendere contemporanee le pulsioni di un passato quanto mai presente…”
Vinile del Festival di Parco Lambro 1976
Vinile del Festival di Parco Lambro 1976
Antonello Cresti: Partiamo dalla fine: quale può essere l’insegnamento di una esperienza come quella del Parco Lambro?
Francesco Schianchi: Molteplici sono gli insegnamenti provenienti da questa straordinaria stagione di eventi, di esperienze di utopie.
In ordine sparso: le persone esprimevano un profondo desiderio di “riprendersi la vita”, non tanto le cose. Purtroppo anche la sinistra extraparlamentare non ha capito questa “profondità” e ha continuato a offrire proposte superficiali. La politica “ufficiale” ,in sintesi, utilizzava la sociologia e non l’antropologia: una grave mancanza che ha costantemente immiserito e banalizzato la sua missione…Ieri come oggi. Questa esperienza inoltre ci consegna una riflessione importante: se si vuole essere in sintonia con il proprio tempo è necessario essere contemporanei, ossia affrontare la vita autentica delle persone che rappresentava allora come oggi il reale “centro di gravità permanente” in grado di modificare” lo stato delle cose presenti.

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