domenica 22 dicembre 2013

FAUSTO BERTINOTTI: Possiamo ancora non morire democristiani!


Nicola Mirenzi intervista Fausto Bertinotti

«Renzi? È l’avveramento di una profezia il cui avvento era annunciato da tempo. La fine della sinistra che viene dal movimento operaio» Il lato positivo? «Dipende da quanto i movimenti saranno in grado di ripartire da zero».
Fausto Bertinotti non vuole dare giudizi di valore su ciò è accaduto nel partito democratico, il trionfo annunciato del sindaco di Firenze. Preferisce analizzare, ragionare, capire. «La vittoria di Renzi – spiega – era altamente prevedibile. Oggi si può dire che c’era un eccesso di preoccupazione sull’affluenza, che è stata invece grande. È singolare – lo faccio notare perché ha a che fare con la mutazione che ha subito la sinistra – che una manifestazione di parte come sono le primarie di un partito sono state presentate in maniera universalistica come l’espressione della volontà del popolo italiano. In realtà c’è il popolo del Pd e c’è quello dei forconi: è la società italiana che è attraversata da molte linee di faglia, che però non vengono riconosciute»
Perché fa questa premessa?
Non è solo una nota metodologica. Secondo me è accaduto che Renzi abbia scritto la parola fine su alcune storie. La prima storia è la macrostoria della sinistra italiana come storia del movimento operaio: la sinistra di classe, anti capitalistica, la sinistra che va dal partito comunista marxista-leninista al Pci di Togliatti e Berlinguer. Ecco: quella storia finisce. Diranno? Ma ci sono delle continuità. Sì, certo. Ma oggi per me è più importante andare con l’accetta che con il fioretto, per capire cosa è accaduto.
A me viene da dire: ma non era già finita quella storia?
Era finita parzialmente. La fine del Pci è una fine importante. Ma la storia del dualismo tra una sinistra radicale e una moderata è proseguita. Certo, ridimensionando il suo carattere anti-capitalistico. Si comincia a parlare sempre meno della sinistra del movimento operaio, ma questo elemento rimane, anche come ambiguità, doppiezza, ammiccamento. Quella storia viene trascinata dietro anche quando la sinistra è stata implicata nelle politiche più moderate possibili. Ma essa era un elemento che rimaneva come vischiosità, come fedeltà della base a un sistema di valori. Quante volte abbiamo sentito un militante del Pd definirsi comunista? Permaneva insomma un elemento antagonista, che nell’antiberlusconismo ha trovato una stampella su cui poggiarsi. L’ultima.
Cosa cambia adesso?
Il quadro. Secondo me oggi non si può non sottolineare l’elemento Europa, la quale occupa l’Italia, nel senso che la plasma e la informa di sé. L’Italia di oggi sta subendo una rivoluzione passiva. Non sta cambiando solo qualche vertice ma è in corso una vera e propria mutazione delle coscienze. Dunque Renzi arriva a chiusura della fine della storia del movimento operaio, in piena egemonia di questa Europa neoliberista e nel momento in cui Berlusconi esce di scena come l’alfa e l’omega della destra italiana, facendo perdere a quel mondo anche l’ultimo residuo antagonista che aveva.
Un tempismo perfetto.
Renzi interpreta compiutamente questo mutamento. Non nel senso che ne è il maieuta, ma perché più di tutti accompagna la conclusione di un ciclo, l’avveramento di una profezia che era annunciata da tempo e i cui segni erano giù visibili nella mutazione delle fisionomie della classe dirigente. Renzi fa fuori definitivamente i segni della tradizione, che sono stati anche per lungo tempo degli alibi. Tanto è vero che il gruppo dirigente di estrazione comunista della cultura del movimento operaio ha conservato solo il nucleo che riguarda la concezione del potere. Che sembrava un elemento di tenuta, invece era un fattore di crisi. Perché se la tattica rimane senza respiro, perde di vista la strategia, finisce per omologarsi.
E qui arriva Renzi.
Renzi è come il surfista che sale sulla grande onda per seppellire quella storia. Muovendosi con tutta l’abilità del surfista, Renzi coglie tutti i movimenti che si agitano nella società non solo per fiuto ma per adesione culturale. E attraverso questa operazione chiude la partita e determina una vera e proprio cesura: la storia della sinistra del movimento operaio finisce e comincia un’altra storia che vedremo cosa sarà. Ciò che è certo è che nel frattempo nel paese si è determinato un nuovo arco costituzionale, basato su due paradigmi: la governabilità e l’adesione forzata ai valori liberali.
Liberali o liberisti?
Croce tendeva a separare le due cose, ma secondo me è un’operazione impossibile. Oggi la competizione elettorale non mette più in discussione il modello economico o il sistema capitalistico.
Renzi però dice che con lui non finisce la storia della sinistra.
Non vedo perché non dovremmo crederci. Più precisamente, con lui, finisce la storia della sinistra legata al movimento operaio. Finisce cioè quella concezione – a cui accennavo sopra – secondo cui il partito riconosce prima dell’interesse generale quello di parte, della sua parte. Se vogliamo usare un’altra formula: finisce la sinistra dell’uguaglianza.
Ma ci può essere un’altra sinistra?
Certo. Tanto è vero che il termine sinistra nasce nell’ottocento e c’è tutto un filone di pensiero – a cui per esempio appartiene anche Rossana Rossanda – che ha sempre visto con sospetto questa parola.
Però anche Renzi ha riconosciuto di voler far parte della famiglia progressista e socialista europea.
Ma il fatto è che la mutazione genetica ha investito anche i partiti socialisti europei. È un’operazione iniziata con Tony Blair, ma secondo me già annunciata dall’ultimo Mitterand.
Ma allora quella di Renzi è un’operazione di verità su scala europea. Perché smaschera tutti dicendo: “Smettetela di fare finta di essere socialisti”.
È indubbiamente un’operazione di verità. Ma guardata dal punto di vista degli interessi materiali e spirituali le operazioni di verità non sempre hanno un effetto positivo. Questa potrebbe averlo averlo se contestualmente ascendessero nuove forze critiche, se sul terreno sociale emergessero dei movimenti, se ci fosse una platea di lotte capace di porsi il problema della forza e della soggettività.
Insomma non è automaticamente un’operazione feconda.
Esatto, può diventare un punto di forza se accade che chi non fa parte dell’ordine esistente – perché è rifiutato o lo rifiuta – si propone di darsi la forza per cambiarlo. Mi spiego meglio: secondo me, quella di Renzi non è un’operazione di cattura dell’alto, la mutazione è a tutto campo. Non è vero che c’è un vertice di destra e una base di di sinistra. È vero però che c’è una parte di mondo che sta fuori da quel campo. Penso alle istanze più radicali che esistono in forme carsiche, contraddittorie, e che hanno il problema dell’efficacia della loro azione. Per esempio: i No Tav hanno ragione? Ma certo. Ma per vincere la ragione non basta, serve la forza. Ecco: se questo problema verrà messo all’ordine del giorno, il passaggio di Renzi potrà essere usato come un’arma. Allo stesso modo: chiudendola con la storia dl movimento operaio. E ricominciando da zero.

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