Intervista di Antonello Cresti a Diego Fusaro
- Nel tuo ultimo saggio
descrivi il mondo che viviamo come il regno del "capitalismo
assoluto-totalitario", una sorta di nuovo culto religioso. Conosciamo gli
effetti di questo dominio dell'illimitatezza, la domanda però un'altra:
"tutto ciò è davvero ineluttabile"?
Il capitalismo è oggi assoluto, in due sensi: a) si è perfettamente realizzato, poiché tutto - a livello sia
simbolico, sia reale – è merce (debiti e crediti nelle scuole, “capitale
umano”, privatizzazioni su ogni fronte, ecc.); b) è absolutus nel senso
di “sciolto” da ogni limite residuo: come ho cercato ampiamente di argomentare
in Minima mercatalia, oggi non vi è
più, di fatto, alcuna istanza che lotti contro il capitale o ne freni lo
sviluppo onnipervasivo. Ciò non significa che tutto sia perduto e che non vi
sia più nulla da fare. Al contrario: si tratta di far tornare a balenare il
senso della possibilità – il marxiano “sogno di una cosa” –, l’ideale in grado
di mettere in movimento la prassi trasformatrice anticapitalistica. Il mondo
può essere trasformato solo se gli attori sociali pensano che sia
trasformabile. Con la Dialettica negativa
di Adorno, solo se ciò che c’è si lascia pensare come trasformabile, ciò che
c’è non è tutto.
- La presenza così invasiva di
una ideologia giustificherebbe anche 'esistenza di un sistema di pensiero che
ad essa si oppone. E' in questo senso che in un tuo libro hai salutato il
"ritorno di Marx"?
Bentornato Marx! è un tentativo di riabilitare la ragione dialettica, ma poi
soprattutto quell’arsenale di passioni emancipative legate al nome e al
progetto di Marx: in particolare, la passione della critica dell’esistente e il
perseguimento di futuri alternativi, meno indecenti della miseria oggi
dominante su tutto il giro d’orizzonte del mondo ridotto a merce. Occorre, con
Marx, spezzare la dilagante mistica della necessità che santifica la barbarie
capitalistica presentandola non come giusta e buona, bensì come un destino
intrascendibile a cui occorre adeguarsi passivamente.
- Recentemente abbiamo
assistito alla ennesima "folata" di proteste di piazza,
inevitabilmente destinate a spegnersi ben presto. Perchè da così tanto tempo i
movimenti finiscono sempre per svanire così velocemente, senza lasciare
traccia?
Perché – io credo – manca oggi una koiné, una sintassi condivisa della rivolta, quale era quella di
Marx e della tradizione che, nel bene e nel male, a lui si è richiamata. Oggi
microlotte in sé anche nobili (per i diritti delle minoranze, per la difesa
dell’ecosistema, ecc.) tendono a disperdersi nel vuoto proprio perché non si
unificano nella forma della passione durevole dell’anticapitalismo. È di qui,
credo, che occorre partire oggi, nell’epoca dell’assenza del conflitto. Dove il
conflitto da parte dei dannati della terra si spegne, allora lì il capitale si
prende tutto.
- "Minima
Mercatalia" rivela una affinità, dichiarata, col pensiero del filosofo
marxista Costanzo Preve. Preve spesso è stato oggetto di attacchi
dall'establishment politically correct non solo per la sua volontà dialogica
con intellettuali di opposta estrazione, ma anche per aver affermato in tempi
non sospetti lo svuotamento dei concetti di "destra" e
"sinistra". Tu credi che queste categorie possano ancora descrivere
qualcosa?
Minima mercatalia è un testo totalmente previano, come peraltro lo stesso Preve ha
più volte riconosciuto. Ne approfitto, qui, per ricordare il mio maestro e
amico Preve, recentemente scomparso. È un gigante della filosofia contemporanea
e, nel mio piccolo, cercherò di rendere giustizia alle sue idee, vergognosamente
silenziate e diffamate. Destra e sinistra oggi – Preve docet – non dicono nulla, proprio perché si tratta di due
schieramenti che, contrapposti apparentemente su tutto, di fatto condividono la
stessa visione del mondo, quella del capitalismo assoluto e della
subordinazione totale dell’Italia alla potenza militare uscita vincitrice dalla
Guerra Fredda. E dove gli opposti dicono la stessa cosa, allora non sono più
opposti, ma coincidono.
-Una tua intervista al
"Corriere della Sera" nella quale affermavi l'importanza dello studio
della filosofia, proprio in tempo di crisi ha sollevato un ampio dibattito.
Sposto la discussione su un livello successivo e ti chiedo: "chi è il
filosofo, oggi"?
Il filosofo, oggi, è
per me colui che sa mantenere uno sguardo perennemente critico sull’esistente,
senza perdere di vista la storicità e la valenza trasformativa del sapere
filosofico. Il filosofo non è colui che parla in astratto degli altri filosofi
e delle loro opere: è colui che si occupa della realtà, apprendendo – come
diceva Hegel – il proprio tempo nel pensiero e ponendolo in relazione con ciò
che è giusto e vero. Per questo, nell’odierna epoca della peccaminosità
compiuta, in cui il capitale è ubiquitariamente dominante, il filosofo non può
non essere dissonante rispetto all’esistente. Occorre, di conseguenza,
diffidare dei filosofi conciliati con lo status
quo: sono ideologi, appunto, e non filosofi. Anche per questo, credo che
Costanzo Preve ci abbia offerto – con la sua vita e con le sue opere – la più
splendida prova di cosa significa essere filosofi nell’epoca del fanatismo
dell’economia.
versione originale dell'intervista apparsa su ALTRI n°43
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